REMOTA
per sette esecutori (Ott./Fl. in sol, Cl., Pf., Perc., Va.,
Vc., Cb.)
durata: 13’ ca.
anno di composizione: 1977
I esecuz.: Firenze, Musicus Concentus, 9.11.1977 – Ens.
Garbarino
Edizioni Suvini Zerboni, Milano
(le parti sono disponibili a noleggio;
OPERA DEPOSITATA ALLA SIAE
Le uggiose presentazioni, peraltro puntualmente
richieste agli autori in occasione dell’esecuzione di
un loro pezzo, sono il sintomo di un'arcaica sfiducia nei
mezzi precipui della musica e di metallica fiducia nella parola.
Ancorché responsabile di qualche ozioso pronunciamento
e poco convinto che le intenzioni del compositore - le sole
di cui possa parlare - esauriscano il suo comportamento compositivo,
l’autore propone Remota senza presentazione alcuna.
All’ascolto di Remota (“le cose che vengono da
lontano”) non giovano infatti le spiegazioni. Se viceversa
giovassero, ad esse si dovrebbe comunque rinunciare, l’autore
non ricordando alcunché. Sorte singolare se si tiene
conto che la composizione di Remota (1977) fu caratterizzata
da una determinazione estrema di ogni componente (testimoniata
da alcuni appunti preliminari): da una iperdeterminazione.
L’oblio si riappropriò poi di tutto, similmente
a quanto tocca alla più parte dei sogni, ancorché
niente affatto casuali.
L’osservazione dell’orbita compositiva di Anzaghi
consente qualche metafora astrologica. Molteplici segni* presagirono
la declinante fase della ritografia. Sul limine di una lunga
notte dell’esistenza apparve una stella risplendente
della sola luce di una soggettività che si esiliava
spontaneamente in un limbale rifugio. Nel quale ripensare
il ruolo della egofonia (egophonie). Da un’ ausa (“fonte”)
prima arida scaturì un’acqua che luminose aurore
rivelarono. Con risorgente alena fu avviato un percorso creativo
di remota provenienza.
*I corsivi rimandano a composizioni
dotate di quel titolo.
Di Remota Enzo Restagno ha scritto, su La Stampa Sera del
21.12.1982:
«Anzaghi, con il suo Remota
per sette strumenti, si è confermato compositore attento
alle più sottili palpitazioni della materia sonora,
capace di indurre nelle sue filiformi trame forti tensioni».
Di Remota la critica fiorentina
ha scritto:
«Remota, di Davide Anzaghi, realizza
una sfumata poesia del timbro attraverso un’attenzione
ai valori del suono quale può nascere da una genuina
sensibilità…». (D. S.)
«È una novità
assoluta Remota per sette strumenti, di Anzaghi: pezzo costruito
su un alternarsi di atmosfere sfumate, differenziate con sottigliezza.
Il dato più evidente è la modernità,
non priva di fascino, del tessuto timbrico». (La Nazione
di Firenze)
I critici Pat O’Kelly e Feehan
hanno rispettivamente scritto di Remota, il 27 aprile 1978,
in occasione dell’esecuzione alla National Gallery di
Londra:
«La musica contemporanea italiana
non è un piatto di spaghetti per tutti. Tuttavia quando
è presentata nel miglior modo possibile il palato non
è soltanto titillato ma addirittura soddisfatto…Diretto
dall’insigne clarinettista Giuseppe Garbarino, l’ensemble
di otto strumenti iniziò con Remota (“le cose
che vengono da lontano”) di Davide Anzaghi. L’indiscutibile
affiatamento del gruppo fu subito evidente nella realizzazione
della grande riflessività del brano e delle sue fluttuanti
tessiture».
«Il fattore curioso che da
questo concerto emerse fu quanto più vulnerabile sia
la musica contemporanea rispetto a quella classica quando
qualcuno tossisce. Si è sempre irritati da questi sfortunati
che, in fondo, vogliono soltanto partecipare e mi sono sentito
furioso durante l’esecuzione delle delicate costruzioni
di Anzaghi».
|