Testo affidato alla
voce recitante
Davide Anzaghi
In nomine filii
La recrudescenza
delle battaglie aveva funestato il fluire di quei limpidi
giorni di primavera. Il conflitto, divampato oltre i confini
del paese contiguo, svelava quasi quotidianamente segmenti
di quell’esteso labirinto di inestinguibili odi etnici
e religiosi che pochi conoscevano, al di qua della frontiera.
La comunità internazionale si era limitata ad allestire
centri di soccorso, in prossimità del fronte.
Ad uno di questi centri, approntato in
un antico ospedale militare abbandonato, un solitario superstite
giunse, all’imbrunire di una giornata di vento caldo
e impetuoso. L’uomo era apparso sul limitare della radura
che circondava l’edificio, con l’ultimo arroventato
sole alle sue spalle.
Avanzò lentamente verso l’edificio.
Dall’andatura, lenta ma sicura, non sembrava avesse
patito ferite gravi nel corpo. In una mano stringeva un pendaglio,
simile a quei ciondoli che la devozione appende al collo di
chi vuole ricordare.
Riferì una vicenda cruenta.
A conferma di ciò che aveva narrato, l’uomo ci
porse la piccola immagine che serrava nel pugno. La lunga
permanenza nell’umidore della mano aveva resa irriconoscibile
la minuscola fotografia incorniciata. Gli restituimmo il pendaglio.
Soltanto allora s’avvide, sgomento, dell’avvenuta
annichilazione dell’immagine. E pianse. Un funebre rosario
di sconosciuti nomi di battesimo ritmò lugubramente
il perpetuarsi delle lacrime, con intrusiva mestizia.
Da quella sera di primavera, nella ventosa
ansa della quale ci fu narrato il caso arcano, non ho più
potuto dormire. Sospetto che l’indomabile insonnia mi
visiti per spronarmi a rinvenire risposte congrue all’insoluto
enigma che parvero proporre le parole dello scampato.
*
«Il levare del sole tardava
a inondare di luce il grumo di case adagiate nella valle,
circondata da fiorite colline. Durante quella notte il terso
plenilunio non aveva acceso d’improvvise scintille gli
alberi dei pendii, com’era invece accaduto in altre
notti di luna. Dalle oscurate ma vigili finestre del borgo
i valligiani avevano sentenziato che l’assente brillio
- scaturente dal riflesso lunare sulle lenti dei cannocchiali
dei cecchini appostati nottetempo fra gli alberi - garantiva
che nell’intrico della vegetazione non si annidavano
assassini. Nonostante l’assenza delle anomale lucciole
inducesse a non paventare pericoli, un imminente evento, fausto
e corale, era prossimo a coinvolgere l’intero villaggio
e a esporlo dunque al rischio di agguati. Un rarissimo battesimo
si stava infatti per celebrare a mezzogiorno e avrebbe fatto
confluire tutta la vita del villaggio verso il battistero
dell’unica chiesa del paese.
«Già prima di mezzogiorno
gruppi di valligiani avevano attraversato la piazza antistante
la chiesa e, dopo aver scrutato dal sagrato i boschi attornianti,
si erano addentrati nel tempio. Dalle navate e attraverso
gli spalancati portali si diffuse per tutta la valle il suono
di un organo. Le strade deserte convogliavano flussi di musica
sacra verso le pendici delle colline, visitate dal vento di
primavera. Dalla penombra della chiesa si levò il canto
di una donna.
«Quando il sole fu prossimo
allo zenit, la piazza si affollò di parrocchiani avviati
verso la chiesa. La frettolosa fiumana dei convenuti durò
pochi istanti. Dopo i quali i portali si chiusero, consegnando
il borgo al silenzio. Si udiva soltanto il vento che soffiava
fra gli alberi dei boschi, pregno del profumo d’incenso
che soverchiava l’altro, più soavemente tenue,
dei fiori.
«La cerimonia durò
a lungo, cadenzata da folate di vento. Allorché un’ultima
ventata fu seguita da improvvisa bonaccia, il tempo si fermò
sulla valle e un obliquo sguardo si posò, indugiandovi,
sul villaggio: prescelto dalla sorte per consumarvi i propri
insondabili atti.
«Al termine della cerimonia
si schiusero i portali della chiesa e i parrocchiani sciamarono
sulla piazza, disponendosi a semicerchio attorno al sagrato
con la schiena rivolta verso le colline. Sul limitare della
chiesa apparvero i genitori dell’infante, che sorretto
dalle braccia del giovanissimo padre, fu innalzato a beneficio
degli occhi di tutti i presenti, nello splendore della luce
meridiana.
*
« Dalle vicine colline un
fucile sparò.
«Un rigagnolo purpureo fuoriuscì
dalla bocca del bimbo, colpito da un proiettile che straziò,
attraversandole, anche le mani del padre che, fieramente,
lo sorreggeva.
«Pochi istanti dopo protratte raffiche di mitragliatrice
falciarono rapidamente tutti i convenuti ad eccezione della
fanciullesca madre, annichilata dalla tragedia e immobile
al centro dell’eccidio: muta e bellissima. Non le fu
risparmiata una prolungata e spietata attesa. Un secondo sparo
risuonò solitario, abbattendola sul corpo del proprio
bimbo.
«Nel non mensurabile tempo
che seguì alla carneficina non si vide alcuno né
fu dato udire alcunché.
«Sulla soglia della chiesa
apparve la figura del prete che aveva celebrato il battesimo.
Nessuno poté udirlo gridare la sua collera; né
pietosamente invocare il nome del battezzato, i teneri genitori
e ad uno ad uno i parrocchiani. Un pianto disperato si propagò
per le fiorite colline. Nessuno lo vide stracciarsi la tonaca
e confortare - cristianamente spoglio - i corpi agonizzanti
di coloro che il destino rapiva.
«Soltanto quando la morte
s’impadronì di tutti e dopo avere benedetto le
spoglie dei falcidiati e amorosamente staccato dal collo della
madre il pendaglio con l’immagine del figlioletto appena
battezzato, soltanto allora si decise ad allontanarsi dal
luogo della strage. Mentre s’incamminava - volgendosi
ripetutamente verso il luogo dell’eccidio - sul rampicante
sentiero dei boschi sillabava ancora lo straziante rosario
del nome dei martiri che avvolti dalle prime ombre della sera
giacevano sul sagrato della chiesa. Nel silenzio attonito
della valle.» |